Alessio Piamonti - I concetti base degli impianti d’allarme intrusione

Alessio Piamonti - I concetti base degli impianti d’allarme intrusione

In un precedente articolo ti ho spiegato l’importanza dell’analisi del sito.

Prima di installare un impianto di sicurezza, sulla base di questa analisi, devi determinare il livello di prestazione e, di conseguenza, realizzare un impianto di allarme intrusione come previsto dalla norma CEI 79-3.

I livelli prestazionali degli impianti sono quattro e in un prossimo articolo ti spiegherò esattamente quali sono le varie prescrizioni per poter realizzare gli impianti in base ad un certo livello, secondo quanto stabilito nella norma.

La cosa che devi assolutamente sapere è che realizzare un impianto che non rispetti neppure i requisiti minimi del livello 1 (livello base) equivale ad aver realizzato un impianto che non solo non è sicuro, ma che può essere oggetto di serie contestazioni del cliente a seguito di un furto.

Oggi non mi soffermerò sulle prescrizioni normative previste per i vari livelli e neppure ti spiegherò quali sono le prescrizioni basilari che valgono per tutti i tipi di impianti indipendentemente dal livello prestazionale che deciderai di realizzare.

Immagino ti starai chiedendo perché dico ciò.

E’ molto semplice. Prima di procedere è essenziale che parliamo la stessa lingua quindi non posso esimermi dall’indicarti alcune definizioni normative. Diversamente rischierei di non farti capire alcuni passaggi nei prossimi articoli.

So che ciò che hai appena letto potrà farti pensare che le prossime righe potrebbero essere noiose, ma ti assicuro che farò del mio meglio per rendere meno soporiferi possibile gli argomenti estrapolati dalla norma CEI 79-3 “Sistemi di allarme. Prescrizioni per gli impianti di allarme intrusione” (92 pagine – 100,00 euro).

Bene, allora mettiti comodo e partiamo!

Spesso nella norma viene indicata la dizione “accessi praticabili”.

E’ molto importante capire cosa intende la norma perché tali accessi vanno protetti in un certo modo quindi, per non rischiare di realizzare un’installazione sovrabbondante e poco economica o peggio ancora scarsa e non sicura, dobbiamo avere delle certezze.

Gli accessi praticabili devi intenderli innanzi tutto come le aperture dell’edificio verso l’esterno dei locali. Se ad esempio avessi una porta che collega un locale ad un altro, ambedue interni all’edificio da proteggere, non devi considerarla un accesso praticabile.

Ma aspetta, non è finita qui. Ci sono altre condizioni per determinare se un’apertura sia un accesso praticabile: deve essere situata ad un’altezza inferiore a 4 m dal suolo o dalle superfici acque (quindi vale anche per i nostri amici veneziani) oppure che siano ubicate ad altezza inferiore a 4 metri da ripiani accessibili e praticabili per via ordinaria cioè senza l’impiego di mezzi artificiosi o di particolare agilità personale. Tanto per fare un esempio: se ci fosse una scala antincendio esterna all’edificio con un ballatoio presso ogni porta di emergenza di ogni piano, quelle porte, indipendentemente dall’altezza rispetto al suolo, sarebbero da considerare accessi praticabili per la presenza del ballatoio della scala antincendio.

E ancora una volta ribadisco l’importanza del sopralluogo prima di progettare/installare un impianto di allarme intrusione. Si, perché se non fai il sopralluogo non è detto che tu possa renderti conto della presenza di una scala antincendio o di altre condizioni che potrebbero essere fondamentali per eseguire le scelte corrette…

Differentemente dalla norma CEI 79-89, relativa ai sistemi di videosorveglianza, alla norma CEI 79-3 non interessano le sicurezze fisiche presenti, al fine della definizione dell’accesso praticabile.

Se sono soddisfatte le altre condizioni precedentemente descritte, quell’apertura è da considerare un accesso praticabile, indipendentemente che tale accesso sia munito o meno di inferriate (sicurezza fisica).

Andiamo avanti e concentriamoci ora sulle varie tipologie impiantistiche che nella norma vengono suddivise in:

  1. unità abitativa non isolata
  2. unità abitativa isolata
  3. insediamento industriale (fabbriche, centri commerciali, ecc.)
  4. locale corazzato (caveau)
  5. locale cassaforte (ATM)

Nella realtà, solo le prime due vengono descritte nelle definizioni della 79-3 mentre le rimanenti, pur non avendo una definizione specifica, vengono menzionate nell’allegato A della norma e di conseguenza dobbiamo tenerle in considerazione.

Le definizioni della norma, tuttavia, non sono molto scorrevoli quindi preferisco darti delle indicazioni che siano più alla mano. In primis non ti devi far influenzare dal fatto che venga definita “unità abitativa” infatti non è per nulla necessario che l’edificio in cui vuoi realizzare l’impianto di allarme sia destinato ad abitazione e rientrano in questa dizione anche musei, uffici, banche, negozi, ospedali, ecc. (peraltro nell’art. A.1.4 dell’allegato A alla 79-3 si trova per l’appunto questo riscontro).

Mentre è facile capire che la casa del nonno di Heidi dispersa tra le Alpi austriache sia un’abitazione isolata, è meno semplice capire se una villetta a schiera, facente parte di un complesso residenziale, possa essere considerata tale.

Qual è la discriminante che ci permette di fare la distinzione fra le due?

E’ semplice: l’accesso all’edificio.

Se l’unità (villa, appartamento, ufficio, ecc.) ha un proprio accesso dall’esterno del fabbricato, la devi considerare “abitazione isolata”.

Se invece l’unità ha un proprio accesso dedicato dall’interno, ma ha un accesso comune dall’esterno del fabbricato di cui fa parte, ecco che in quel caso si parla di “abitazione non isolata”.

In sostanza la villetta a schiera che ha il proprio accesso dall’esterno è da considerare abitazione isolata indipendentemente dal fatto che sia contigua ad altre abitazioni, mentre il classico appartamento di un condominio, in cui l’accesso al fabbricato dall’esterno è in comune ai vari alloggi, lo devi considerare abitazione non isolata.

Questa distinzione è molto importante perché la norma stabilisce delle prescrizioni diverse per le varie tipologie impiantistiche.

L’esempio più lampante che mi viene in mente riguarda i dispositivi di segnalazione dell’allarme.

Nell’unità abitativa isolata, come ad esempio una casa in mezzo alla campagna, la norma non prescrive l’uso di una sirena ma di un comunicatore d’allarme.

E’ ovvio che se vuoi, puoi metterla ugualmente la sirena esterna, anzi, tanto meglio se gliela metti! Ma chi la sentirebbe in una casa isolata?

Se non c’è nessuno, la sentirebbe solo il ladro.

Ecco perché la norma la considera facoltativa mentre invece richiede obbligatoriamente il sistema di comunicazione dell’allarme come ad esempio la chiamata telefonica al padrone di casa che in quel momento potrebbe non trovarsi nell’abitazione.

Nell’unità abitativa non isolata, per raggiungere il livello prestazionale minimo, potrebbe invece essere sufficiente la sirena esterna, anche senza il comunicatore dell’allarme. Questo perché si presume che ci sia comunque qualcuno, oltre al ladro, che può sentire l’allarme.

In realtà, rispetto al livello prestazionale di base (livello 1), già l’esecuzione di un impianto di livello 2 richiede anche la presenza del comunicatore di allarme in aggiunta alla sirena esterna.

A questo punto abbiamo perciò compreso che ogni tipologia impiantistica ha dei requisiti per poter raggiungere il livello di prestazione minimo previsto nella norma e deve rispettare ulteriori requisiti per raggiungere i livelli di prestazione più avanzati.

Ma questo lo tratteremo più approfonditamente in un prossimo articolo 😉

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